Chi vincerà la sfida? 🙂 Bene, stasera ho preso seriamente in considerazione l’ennesima distribuzione linux, spinto dall’esaurimento nervoso dovuto alla ricerca dei parametri da passare al kernel per riuscire a installare Ubuntu su una macchina. Chiariamo subito: AMO Ubuntu, e mi dispiace aver dovuto prendere in considerazione un altro linux, però è giusto dare a tutti una possibilità… giusto?
E così ho installato Archlinux!
L’installazione è una meraviglia (almeno per chi come me amava, prima di Ubuntu, la mitica Slackware! bei tempi…). Si installa completamente da riga di comando e alla fine presenta all’utente i principali files di configurazione per editarli manualmente secondo le necessità. Ottimo.
Visto il lavoro che faccio, però, la prima cosa che cerco di fare è ricreare il classico server LAMP (Linux Apache MySQL PHP). Anche qui con un comando si installano i pacchetti necessari. (# pacman -Ss apache php mysql). A questo punto viene il bello: la configurazione di Apache! Abituato alla praticità e comodità di Ubuntu, guardo le cartelle in /etc/httpd/ e vedo che l’organizzazione dei file e quindi la suddivisione della configurazione, segue una logica completametne diversa. (a mio avviso, la configurazione di apache su Ubuntu è MOOOLTO migliore)
Dunque cerco di ricreare su Archlinux la configurazione di apache in stile Ubuntu. Creo le cartelle e i files necessari, sposto e raggruppo alcuni pezzi di configurazione, aggiungo alcune direttive di inclusione in httpd.conf e il gioco è fatto… sperando che al primo update non succedano disastri. Speriamo bene! (a dirla così sembra semplice, ma ci ho perso almeno 3 ore, contro i 2 minuti necessari su Ubuntu, compreso il download dei pacchetti dalle repository)
Se qualcuno di Archlinux leggesse questo post, potrebbe gentilmente spiegarmi perchè tutti i moduli di apache li chiamate mod_qualcosa.so e il php5 lo chiamate libphp5.so? Mi spiegate anche come mai tutti i moduli di default hanno i permessi di esecuzione e libphp5.so no? Grazie per avermi fatto perdere tempo!
Morale della favola: stando ad una analisi iniziale abbastanza sommaria, per il momento sembra che la sfida sia in pareggio per le seguenti considerazioni (almeno dal mio punto di vista):
Ubuntu: script di installazione/ri-configurazione/automazione + potenti
Archlinux: drastica riduzione della configurazione in pochi file e semplificazione dell’init del sistema secondo il buon vecchio stile Slackware (questo però è un PRO solo per chi ha già una certa dimestichezza nel farsi le configurazioni a mano)
Prossimamente, magari quando avrò conosciuto un pò meglio Archlinux, scriverò altre considerazioni. A presto… Sciauuuu AmiScii!
una logica diversa non è per forza sbagliata..
apache sulla mia arch funge benone e non ci ho perso mica 3 ore 😛
non ho modificato quasi niente dopo l’installazione, giusto due righe da qualche parte
ma scusa i moduli su ubuntu come si chiamano?
es: mod_rewrite.so
http://wiki.archlinux.org/index.php/LAMP
😉